di Roberto Monteforte
Diciamolo subito. Ha del paradossale la polemica sulla polemica. Perché hanno tutte le ragioni del mondo ad indignarsi i colleghi e le colleghe che hanno votato Carlo Picozza e la lista Riforma&Dignità per cambiare davvero questo Ordine e che si sono visti disattendere il risultato del voto.
La loro speranza era semplice ed essenziale: avere un Ordine dei giornalisti che tuteli davvero la categoria in questa fase di crisi e di cambiamento. Questo vuol dire una cosa altrettanto semplice. Che l’Ordine non sia quell’istituzione burocratica e formalistica a difesa di una corporazione che tra l’altro non esiste più, perché si è come decomposta per effetto della rivoluzione digitale e della crisi di sistema, con una netta divaricazione tra super protetti e precari. Quindi che oltre a tutelare il diritto del cittadino alla buona informazione, assicuri con più forza e determinazione solidarietà, autonomia e dignità ai colleghi. Troppo spesso sono rimasti solo richiami vacui, di circostanza, senza efficacia.
Questo ha alimentato la distanza e il disinteresse della categoria, rafforzando l’idea che più che una garanzia democratica, l’Ordine rappresenti un ostacolo all’esercizio dell’attività giornalistica. Come confutare queste posizioni se non attuando rapidamente una vera Riforma dell’Ordine?
Lo sforzo della lista civica Riforma&Dignità promossa da Carlo Picozza e dei colleghi candidati è stato proprio quello di dare voce alla domanda di cambiamento e di riforma espressa dai colleghi, superando le tradizionali logiche divisive di appartenenza. Potremmo dire “lavorando insieme per cambiare insieme” con l’obiettivo ambizioso di ripensare l’impalcatura della professione e il patto di solidarietà che ci lega tutti. Un invito a misurarsi con la realtà, perché la Riforma di cui tanto si parla, sarà pure il Parlamento a doverla varare, ma la si deve costruire già oggi, passo dopo passo, nella cultura, nella sensibilità, nei comportamenti concreti di chi fa questo lavoro e soprattutto in chi ci rappresenta a livello istituzionale.
Non c’è più spazio per banali galleggiamenti o per la riproposizione di stantie logiche di potere con la relativa occupazione di posti decisa a tavolino. La crisi è troppo profonda e drammatica. La vicenda Inpgi lo testimonia. Ne è un segno ulteriore il dato, deludente malgrado l’introduzione del voto a distanza, della partecipazione dei colleghi alle elezioni per l’Ordine. Nel Lazio su un totale di circa 16.500 colleghi aventi diritto al voto (6.828 professionisti e 9.598 pubblicisti) a cui andrebbero aggiunti quelli al momento in posizione “irregolare” (con morosità nelle quote o ancora senza Pec) hanno votato in media poco più del 20% dei professionisti e meno del 10 % i pubblicisti. E’ su questo scollamento che occorre riflettere. Questa cesura va recuperata.
Invece, vanno nella direzione opposta le scelte fatte dal Consiglio dell’Ordine del Lazio nella sua prima seduta con l’elezione di Guido D’Ubaldo a presidente del Consiglio regionale e di nessun riconoscimento al più votato in assoluto Carlo Picozza (738 preferenze) e agli altri colleghi Gianni Dragoni e Pietro Suber eletti della sua lista “civica”. Non si è compresa la domanda affidata a quel voto. Si è seguita la logica degli accordi e dei numeri. Certo che è questa la democrazia, ma quella solo formale, buona per la normale amministrazione, non per l’emergenza. Ed è una drammatica emergenza quella che stiamo vivendo. Per questo non deve stupire se la votazione per l’attribuzione delle cariche del Consiglio l’Ordine del Lazio ha determinato indignazione e sconcerto tra tanti colleghi.
Che è un segno positivo, perché esprime la reattività della categoria che ancora crede nel cambiamento e nella forza del voto per attuarlo. Ma quella volontà è stata offesa. Che le cose stiano così lo dicono i fatti. Ameno per ora. Non basta invocare riforma e poi perpetrare le logiche di sempre. Verrebbe da dire: “E’ il vecchio, il tradizionale che avanza” con tutta la sua dose di inadeguatezza.
Per questo paiono marginali, di maniera e alla fine inconcludenti le lezioncine su democrazia e sistemi di votazione, per non poi parlare dei rimandi a come è andata allo scorso congresso di Stampa Romana. Le analogie e le ricostruzioni sono sempre possibili, ma così si parla d’altro per eludere il vero nodo. Andiamo all’essenziale.
C’è stata una domanda sincera di cambiamento a cui si è risposto nel peggiore dei modi: ignorandola. Chiediamoci, allora, perché l’Ordine si sia dovuto adeguare a logiche spartitorie decise altrove, molto prima del voto e che poco hanno a che fare con programmi e contenuti? Ci sono logiche “proprietarie” degli incarichi di responsabilità? Con tutta la stima per il neo presidente Guido D’Ubaldo già segretario del Consiglio Nazionale dell’Ordine e collega di esperienza, viene da chiedersi quali meriti avrebbe più di altri che hanno avuto molti più consensi di lui per guidare l’Ordine del Lazio (Picozza lo ha distaccato di 102 voti con le sue 738 preferenze)? E per fare cosa, vista la maggioranza che in Consiglio ha deciso di sostenerlo?
Dobbiamo sempre ringraziare i colleghi che accettano di candidarsi agli istituti di categoria, perché vuol dire mettere al servizio di tutti il proprio tempo e la propria competenza, ma questo quando la giusta ambizione non è fine a sé stessa o troppo attenta a quel briciolo di potere che si può esercitare, ma al servizio dei colleghi, come parte di un progetto. Per ora non pare sia così. Ci auriamo che D’Ubaldo sappia essere il presidente di tutti e soprattutto, come ha affermato in una recente intervista al sito di Articolo 21, sappia dare seguito alle sue dichiarazioni su precari e solidarietà. Generiche parole di buon senso, ma positive. Premesso che i diritti vanno riconosciuti e non concessi come frutto di un paternalistico rapporto personale, peccato che di programmi il neo presidente abbia accettato di parlare dopo e non prima del voto per le cariche in Consiglio.
Lo avevano chiesto i consiglieri della lista civica Riforma&Dignità che – ricordiamolo – in Consiglio rappresenta, ma senza riconoscimenti formali la maggioranza dei giornalisti professionisti del Lazio. I colleghi che fanno riferimento a Controcorrente non lo hanno voluto.
Non lo prevedeva l’accordo di ferro stretto con i consiglieri pubblicisti, hanno fatto maggioranza ed eletto tutte le cariche del Consiglio. Picozza, Dragoni e Suber lo hanno dichiarato: daranno battaglia ogni giorno, con rigore, senso di responsabilità e disponibilità. Senza fare sconti, in particolare sulla trasparenza nella gestione dell’Ordine, mentre sulle spese vigileranno i revisori dei conti, Barbara Pavarotti e Rossana Livolsi. Così i colleghi sapranno e giudicheranno. Sarà l’opposizione che si può praticare nell’organismo istituzionale e di garanzia della categoria.
Auguri sinceri a loro, al presidente e all’intero Consiglio dell’Ordine regionale nelle sue componenti di professionisti e pubblicisti. Perché la sfida che coinvolge tutti è quella di far recuperare e presto, autorevolezza e credibilità all’Ordine. E’ difficile. Ma sarà ancora più ardua se si perseguiranno logiche di potere che sviliscono ogni impegno per la riforma.