di Stefano Ferrante, segretario Stampa Romana e Lazzaro Pappagallo, Giunta Fnsi
Sembrano temi non collegati strettamente Casagit e rinnovo contrattuale.
In realtà l’abbraccio è suggellato dalle previsioni contenute in un contratto scaduto otto anni fa in attesa che le promesse reciproche tra Fieg e Fnsi di rinnovarlo trovino qualche segnale concreto di partenza.
In questi anni Casagit ha cambiato natura, ha continuato a erogare prestazioni cercando di limare i tagli ma si trova alle prese con un pesante invecchiamento della popolazione giornalistica con una età media innalzata a 61 anni.
Giornalisti dipendenti così anziani e con famiglie a carico chiedono tutele sanitarie e la Cassa, dopo i bilanci in attivo a causa della pandemia, inizia a registrare squilibri di bilancio.
L’ultimo di 4,3 milioni di passivo è stato coperto con le riserve patrimoniali (una quarantina di milioni) e beneficia nella chiusura contabile degli incassi causati dalla iscrizione di nuovi soci non giornalisti (1,3 milioni).
Tuttavia proprio quest’ultimo dato ci induce a qualche riflessione di contesto soprattutto perché si sta discutendo una proposta di riforma delle prestazioni proprio per coprire per i prossimi anni il deficit e non far fallire Casagit sulla scia dell’Inpgi.
Negli scorsi anni l’apertura al mercato privato è stata considerata la madre di tutte le battaglie.
Di fronte all’invecchiamento della popolazione giornalistica e al mancato arrivo di forze fresche per la situazione drammatica del mercato del lavoro dipendente la soluzione è stata quella di cercare clienti altrove.
Il risultato di 1,3 milioni è certamente utile ma non è sufficiente a colmare il buco di bilancio.
Casagit non ha e non potrà avere lo stesso appeal di fondi sanitari e assicurazioni che hanno ben altro impatto sul mercato sanitario potendo proporre pacchetti integrati di prestazioni (non solo sanitarie). E se la platea aumenta di un migliaio di iscritti è chiaro che non si sono intercettate grandi organizzazioni di lavoratori e professionisti in grado di fare massa critica.
In attesa dunque di avere energie e risorse fresche dagli aumenti contrattuali non resta che dedicarsi alla pratica dei tagli.
Nella ultima riunione di Giunta Fnsi il vertice Casagit, pur in assenza di carte concrete che facessero vedere a tutti noi dove si voglia intervenire, non ha lesinato spiegazioni.
Le aree di intervento sono grosso modo due: un aumento della contribuzione per i familiari degli iscritti e il contenimento delle visite specialistiche.
Per i familiari degli iscritti si intende modulare la quota di iscrizione in base all’età con un tetto massimo invariato di 900 euro l’anno.
Sulle visite specialistiche si fissa un tetto forfettario da 350 euro a testa che, ad avviso dei vertici, dovrebbe essere sufficiente a coprire le richieste. Non ci sarebbe più un massimale a 80 euro a visita ma si va ad esaurimento del plafond. Per i vertici Casagit le conseguenze non toccherebbero la gran parte degli iscritti che di solito accede tre volte l’anno alle visite specialistiche ma solo chi sta abusando della solidarietà del sistema.
Il presidente Giuliani ha assicurato che questo è il frutto del lavoro congiunto ed unanime di una commissione in cui sono presenti tutte le anime Casagit, non escludendo qualche ritocco in relazione anche alle considerazioni Fnsi prima del varo definitivo in CdA.
La nostra voce non è mancata perchè ci sembrano misure certamente utili ma con un grado di equità molto opinabile.
Prendiamo le famiglie.
Perché si è scelto di insistere su un criterio anagrafico e non su un criterio reddituale e patrimoniale?
Perché non si chiede a chi si vuole iscrivere dichiarazione dei redditi o Isee? Quali ragioni di privacy possono impedire di chiedere a chi si iscrive un dato del genere? Se si segue solo una linea anagrafica si assiste al paradosso che pagano molto di più familiari e colleghi con reddito fisso basso che liberi professionisti da centinaia di migliaia di euro o milioni di euro di reddito e patrimonio, soci per cui è ingiustificabile il tetto a 900 euro.
Le dichiarazioni Isee e dei redditi non sono veritiere, dicono dai vertici.
Una risposta incomprensibile. Se passa un ragionamento del genere dovremmo proprio noi giornalisti invitare tutto il resto del paese a non pagare le tasse e lo Stato a non offrire servizi.
Anche sulle prestazioni c’è qualcosa che non funziona.
Certamente è vero che ci possono essere casi di abusi, di stazionamento nelle sale di attesa dei medici ma a volte le visite specialistiche “salvavita” sono utili, necessarie e ripetute. Il tetto di 350 euro è giustificabile in tutti i casi? Non era possibile una valutazione familiare o “grandi rischi”?
In questo ragionamento sui risparmi il grande assente sono i poliambulatori.
Una grande forza del sistema Casagit anche a Roma non deve diventare preda di abusi negli accessi. Anche qui varrà il tetto di 350 euro? In chiave di prestazioni figurate singole da 60 euro? Non si poteva pensare, al di sopra di una certa soglia di ingresso, a miniticket per partecipare alla spesa e scoraggiare gli abusi?
E comunque prima di chiedere ai colleghi sacrifici, riducendo in un modo o in un altro le prestazioni, i vertici dovrebbero ricontrattare le convenzioni per diagnostica e ricoveri. E’ uno dei nodi essenziali e più delicati, non foss’altro per la quantità di spesa generata dalla cassa.
Le nostre proposte (di tutta la minoranza federale) sono arrivate e ci auguriamo che i vertici le prendano in seria considerazione.
Siamo consapevoli delle difficoltà del sistema e non vogliamo rinunciare a un bene prezioso e solidale per le nostre cure ma non vogliamo che Casagit faccia la fine di Inpgi senza soluzioni adeguate e di lungo respiro e il coinvolgimento della base.
Casagit riparte naturalmente anche se arrivano soldi dal contratto.
La Fnsi correttamente ha chiesto in tarda primavera a tutte le anime sindacali di ritrovarsi attorno a sette tavoli di lavoro condivisi per elaborare una proposta organica agli editori.
A oggi i tavoli non sono stati convocati. Si sta risolvendo la partita degli infortuni extraprofessionali con un apposito fondo degli editori (una nostra richiesta quella di creare fondi, anche bilaterali, per risolvere le poste aperte dal fallimento di Inpgi 1) ma sul resto si guarda ad interventi della politica.
Sappiamo come è finita nel 2014 quando il contratto è arrivato proprio perché la politica è intervenuta sull’equo compenso, con una delibera cestinata dalla giustizia amministrativa, irrispettosa dell’articolo 36 della Costituzione e ingiusta per il lavoro autonomo.
Se proprio si vuole la politica al tavolo (pratica sempre incestuosa diciamolo) la si chiami in causa quando le distanze tra editori e sindacato si accorciano per chiudere la trattativa. Qui in teoria la trattativa non è ancora iniziata.
In questo saremo fermi in Fnsi.
Vogliamo condivisione piena e non caminetti separati e chiediamo che si parta dalla parte economica del contratto, il recupero del 20 per cento degli stipendi eroso dall’inflazione dal 2016 ad oggi.