di Rossella Lamina, direttivo Stampa Romana e delegata al X Congresso
Con gesti lenti e solenni, Dwar Ev procedette alla saldatura, in oro, degli ultimi due fili. Gli occhi di venti telecamere erano fissi su di lui e le onde subeteriche portarono da un angolo all’altro dell’universo venti diverse immagini della cerimonia.
Si rialzò, con un cenno del capo a Dwar Reyn, e s’accostò alla leva dell’interruttore generale: la leva che avrebbe collegato, in un colpo solo, tutti i giganteschi computer elettronici, di tutti i pianeti abitati dell’universo – novantasei miliardi di pianeti – formando il supercircuito da cui sarebbe uscito il supercomputer, un’unica macchina cibernetica racchiudente tutto il sapere di tutte le galassie.
Dwar Reyn rivolse un breve discorso a tutti gli innumerevoli miliardi di spettatori. Poi, dopo un attimo di silenzio, disse: “Tutto è pronto, Dwar Ev.”
Dwar Ev abbassò la leva. Si udì un formidabile ronzio che concentrava tutta la potenza, tutta l’energia di novantasei miliardi di pianeti.
Grappoli di luci multicolori lampeggiarono sull’immenso quadro, poi, una dopo l’altra, si attenuarono.
Dwar Ev fece un passo indietro e trasse un profondo respiro.
“L’onore di porre la prima domanda spetta a te, Dwar Reyn.”
“Grazie” disse Dwar Reyn. “Sarà una domanda a cui nessuna macchina cibernetica ha potuto, da sola, rispondere”.
Tornò a voltarsi verso la macchina.
“C’è, Dio?”
“L’immensa voce rispose senza esitazione, senza il minimo crepitio di valvole o condensatori.
“Sì: adesso, Dio c’è.”
Il terrore sconvolse la faccia di Dwar Ev, che si slanciò verso il quadro comando.
Un fulmine sceso dal cielo senza nubi lo incenerì, e fuse la leva inchiodandola per sempre al suo posto.
Questa è “La Risposta”, un capolavoro di racconto breve scritto da Fredric Brown nel 1954.
Negli ultimi tempi mi torna spesso in mente seguendo le reazioni generali, e soprattutto dall’interno della nostra categoria, suscitate dall’arrivo di ChatGPT. Che mediamente si potrebbero sintetizzare: ecco, siamo a un passo dall’apocalisse.
Per chi si fosse distratto, ChatGPT è un chatbot, ovvero un software che può conversare con noi, in grado di generare contenuto e basato sulla Intelligenza Artificiale Generativa (GPT sta per Generative Pre-trained Transformer). In due parole, a domanda risponde ed è decisamente più sofisticato dei bot che oggi compaiono, ad esempio, sui siti web di alcune aziende con lo scopo di aiutarci – e che spesso ci fanno impazzire, perché non capiscono la nostra domanda se questa non viene posta secondo i loro stretti modelli linguistici. ChatGPT invece dialoga in linguaggio naturale, è basato su 175 miliardi di parametri e, pescando in un data base per ora aggiornato al 2021, può generare un testo lungo: che sia una canzone nello stile di Nick Cave o una poesia; oppure le si può chiedere di scrivere un articolo. Messa alla prova, ChatGPT dà risultati in apparenza convincenti.
Di qui il panico. Presto saremo sostituiti. Resi superflui. Infine inutili.
In realtà questo non è l’esordio della AI nel mondo dell’informazione. Importanti realtà editoriali hanno attinto alle potenzialità dell’intelligenza artificiale già dal 2014 (ad esempio: AP, Reuters e Washington Post). Tuttavia l’automazione era rimasta confinata a delle brevi, come indici borsistici o concisi report economici.
Ma oggi abbiamo articoli veri e propri. CNET, testata on line statunitense incentrata sui temi tech (che si definisce “Your guide to a better future”), da novembre dello scorso anno ha silenziosamente introdotto una tecnologia di automazione per scrivere articoli finanziari di cui – per adesso – agli umani spetta ancora la supervisione. La rivista Futurism ne ha finora individuati 73. Interpellata in merito, CNET non ha risposto alle domande sull’uso dell’intelligenza artificiale in redazione.
E non c’è da stare tranquilli nemmeno sul fronte televisivo. Circa 4 anni fa l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua ha tirato fuori il primo conduttore AI. Il 7 febbraio 2023, Il NYT ci parla di una più recente operazione cinese, denominata “Wolf news”, dove i conduttori sono avatar generati dal computer attraverso un software AI…Sentiamo il panico che cresce?
Oltretutto non esiste solo ChatGPT, sviluppata da OpenAI, società fra i cui fondatori troviamo Elon Musk, Sam Altman (programmatore); Reid Hoffman (co-fondatore di LinkedIn); Peter Thiel (co-fondatore di PayPal), la cui mission sarebbe quella di “garantire che l’intelligenza artificiale generale vada a beneficio di tutta l’umanità”. Google infatti sta già lavorando alla sua (Lambda), come pure Amazon. Sono arrivati da poco anche gli italiani, con PeperoniAI, “rivolto a chi non ha dimestichezza con la parola scritta ma ha necessità di farsi comprendere”. Si parla inoltre (ma è tutto da verificare) di circa 200 e-book già in commercio scritti grazie alla AI.
Dunque, siamo effettivamente a un passo dall’apocalisse? C’è però un’altra domanda, quella posta il 27 gennaio scorso da David Smerdon, economista della University of Queensland e giocatore di scacchi, che ha chiesto a ChatGPT: «Qual è il paper di economia più citato della storia?» La macchina ha risposto: «”A Theory of Economic History”, di Douglass North e Robert Thomas, pubblicata nel Journal of Economic History, nel 1969, citata più di 30mila volte. Il paper è considerato ormai un classico della storia economica». Bella risposta – ha commentato Smerdon sul suo account Twitter – Peccato che quel paper non esista. Smerdon ha anche avanzato una analisi su come sia nato il documento inesistente, facendoci capire meglio come “ragiona” questa AI: “ChatGPT si basa su un modello linguistico che assegna una distribuzione di probabilità su sequenze di parole: dato l’inizio di una frase, cercherà di indovinare le parole più probabili che arrivano dopo. Ma come sceglie il titolo? (…) Negli ultimi 70 anni, le due parole più comuni nei titoli di articoli di economia altamente citati sono state “economico” e “teoria”. Quello che viene dopo? La parola più probabile per finire in modo coerente questo titolo, dato il pool di articoli di economia citati (…) è “Storia”. Autori: Douglass North, che è stato citato oltre 120.000 volte secondo Google Scholar”. E così via. Insomma, essendo un enorme sistema probabilistico, come ci ricorda lo stesso Smerdon, se scrivete la frase “Una mela al giorno”, ChatGPT la completerà con “Leva il medico di torno”.
Torniamo allora all’apocalisse.
È indubbio che l’espansione dell’AI ponga grossi problemi, in primis di natura – oserei dire – gnoseologica. Ormai non si tratta più dei “fatti alternativi” della amministrazione Trump: tutti rischiamo di abitare una sfera di “falso immersivo” e di nutrircene. Il trattato di economia inesistente va infatti a ricadere in un contesto dove la iper velocità di azione accomuna molti mestieri, le scorciatoie la fanno da padrone, l’attenzione è in caduta libera; il vasto pubblico non si interroga sulle fonti (che ChatGPT non cita mai) e il nostro quotidiano è vissuto in una dimensione costantemente interruttiva. Anche stavolta mi torna in mente il geniale Fredric Brown e il suo “Marziani, andate a casa!” del 1955, dove gli alieni sono sbarcati sulla terra mirano a sottometterci non con le armi, ma con molestie e interruzioni continue. Insomma, lo scenario che si apre è senza dubbio complesso ed inquietante. Inoltre è in rapida trasformazione, perché tutti coloro che in questo periodo hanno usato ChatGPT “gratuitamente” la hanno in realtà aiutata a compiere un suo training di miglioramento consentito dal machine learning, ovvero i meccanismi apprendimento automatico che permettono di migliorarne capacità e prestazioni.
Tuttavia, dove molti prefigurano l’apocalisse, io invece intravedo una importante opportunità. In primo luogo, quella di farci riconnettere con la nostra più profonda qualità di animali umani. Che non è strettamente probabilistica, ma tende per sua natura alla diversificazione e alla imprevedibilità e ci permette di dire che una mela al giorno può essere estremamente noiosa. Che magari, per toglierci il medico di torno, vogliamo un altro frutto oppure un bicchiere di vino rosso. Che le risposte ovvie e le frasi fatte possiamo finalmente lasciarle alle intelligenze artificiali e possiamo invece avventurarci in territori ancora tutti da esplorare. Che il verosimile e la verità sostanziale dei fatti non coincidono.
L’opportunità, per lo specifico della nostra categoria, a mio avviso è quella di riconnetterci con le fondamenta del nostro mestiere, un mestiere che prima di cercare risposte (e tanto meno “La Risposta”!) tenta di individuare le domande giuste. Che si fa forte del metodo, della paziente ricerca sul campo, dell’incontro con le persone, della verifica delle fonti. Un mestiere che, in tutte le sue declinazioni, trova senso nella sua funzione sociale, nel ruolo cardine di chi fa informazione all’interno di una società realmente democratica. E che per questo deve essere disposto all’ascolto del pubblico (dei lettori, ascoltatori, spettatori) in una relazione di scambio orizzontale.
Intendiamoci: anche io ho paura. Non delle macchine, ma della visione del mondo di chi le programma. Mi spaventa il comodino di Elon Musk, dove pistole e Diet Coke stanno accanto a un Vajra, simbolo della spiritualità tibetana – che manco il soldato Joker di “Full Metal Jacket” aveva così tanta confusione sul suo elmetto. Ho paura delle allucinazioni superomiste dei rampolli della Silicon Valley. Temo la segretezza degli algoritmi. Mi spaventa tornare in patria e al controllo passaporti non trovare più una persona ma un dispositivo di riconoscimento facciale. Temo le conseguenze della perdita di reputazione dei giornalisti.
Ma so anche che “la paura mangia l’anima” e che quando si comincia ad introiettare la marginalizzazione del proprio ruolo si è ormai a un passo dalla estinzione. Sono convinta che le trasformazioni vadano comprese e mai subite e che proprio il sindacato debba svolgere un ruolo centrale in questa direzione.
In questi ultimi anni Stampa Romana non solo è rimasta costantemente vigile sulle nuove tecnologie, approfondendone le ricadute sulla professione e organizzando un ottimo programma di formazione per permetterci di aggiornare le nostre competenze. Ha anche – e soprattutto – posto il tema come centrale per il futuro dell’azione sindacale. Credo dunque che proprio in questa traiettoria debba continuare a muoversi il nuovo gruppo dirigente dell’Associazione: perché solo con un’attenta, salda e inclusiva organizzazione sindacale potremo affrontare i cambiamenti e tentare di governare gli scenari del tutto inediti aperti dall’introduzione dell’intelligenza artificiale. Sarebbe inoltre indispensabile che anche la FNSI raccogliesse finalmente questo stimolo, cercando di colmare il distacco finora mostrato rispetto a queste tematiche.
Concludo con una citazione da un articolo del quadrimestrale britannico Hunger del 16 gennaio 2023, dal titolo “Il futuro del giornalismo è fottuto?”. L’autrice, Ella Chadwick, ha intervistato direttamente ChatGPT: “Eliminerete la necessità di giornalisti umani?”, ha domandato. “No, non eliminerò la necessità di giornalisti umani – ha risposto il Chatbot – credo che il miglior giornalismo si crei quando il giornalista ha l’opportunità di avvicinarsi agli argomenti e capirli a livello personale. Penso anche che i giornalisti umani siano una parte fondamentale nel fornire un contesto, e il contesto è fondamentale per fornire informazioni accurate”.
Ancora una volta, l’apocalisse dipende da noi.