Tre idee, alternative l’una all’altra, per tentare di risolvere il drammatico problema della previdenza dei giornalisti. Tre idee consegnate al governo per non fermarsi alla pur sacrosanta protesta e agli appelli autorevoli. Negli incontri e nei contatti delle ultime settimane, il comitato “Salviamo la previdenza dei giornalisti” ha sottoposto il documento che pubblichiamo oggi. E’ un sintetico dossier all’attenzione del governo, su cui sollecitiamo ora il parere e il contributo di tutte le espressioni della professione. Tre idee con una parola d’ordine: la crisi del giornalismo di oggi, dunque anche della previdenza, si risolve in un solo modo: risolvendo il problema del precariato e del lavoro nero.
TRE IDEE (ALTERNATIVE) PER SALVARE LA PREVIDENZA DEI GIORNALISTI
1) Ritorno dell’Inpgi nella sfera pubblica.
Prima del Decreto legislativo 509 del 1994 e sin dal 1956, con il Decreto del Presidente della Repubblica 781, l’Inpgi è stato ente di diritto pubblico con personalità giuridica e gestione autonoma. Era stata la legge Rubinacci del 1951 a prevedere questo particolare status avendo preso atto della peculiarità dell’attività professionale dei giornalisti, che li vede esposti oltre che ai normali rischi inerenti il rapporto di lavoro anche all’alea delle vicende politiche. Venne riconosciuto all’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” il carattere sostitutivo di tutte le forme di previdenza e assistenza obbligatorie nei confronti dei giornalisti professionisti.
In base a questa forma giuridica, le prestazioni previdenziali sarebbero garantite dallo Stato, mantenendo comunque la governance autonoma prevista dal legislatore alla metà del secolo scorso.
2) Applicazione del modello Inpdai.
Preso atto dello squilibrio strutturale della previdenza giornalistica tra numero di contribuenti e numero di assistiti, una soluzione potrebbe consistere nella creazione di un Fondo speciale presso l’Inps simile a quello disegnato nel 2003 per l’Inpdai, con clausole di salvaguardia dei diritti acquisiti, riconosciute dalla Cassazione con la sentenza 13980/2018, vale a dire con il mantenimento del pro-rata pensionistico.
Parallelo a questo percorso si ritiene auspicabile che – anche con legge ordinaria – le prestazioni vengano garantite dalla fiscalità generale per tutte quelle casse laddove il cambiamento radicale del mercato del lavoro causi uno squilibrio strutturale nel rapporto tra attivi e pensionati.
3) Forme innovative di riconoscimento del diritto d’autore.
Applicazione di un equo compenso dello sfruttamento digitale di contenuti editoriali, attraverso un contributo mensile, da quantificare, sui circa 104 milioni di Sim telefoniche attive in Italia.
Secondo il recente Digital Report, 49 milioni di italiani accedono quotidianamente a Internet, 32 milioni dei quali frequentano i social network.
Spesso si trascura che il 99% accede da smartphone, attraverso gli 80 milioni di smartphone esistenti (20 milioni in più degli abitanti, o meglio il 133% della popolazione).
L’ultimo Rapporto Mediobanca sul settore delle telecomunicazioni ha reso noto che (dati 2019) il fatturato annuo delle tre maggiori compagnie telefoniche è ammontato a 23,9 miliardi di euro.
Considerando i dati appena esposti e sottolineato
a) che la fruizione di contenuti giornalistici senza corrispettivo per gli editori è una delle maggiori cause di crisi del settore;
b) che questa fruizione avviene soprattutto attraverso gli smartphone,
la proposta è quella di introdurre un contributo forfettario a carico principalmente delle compagnie telefoniche che, in cambio, consenta agli utenti possessori di smartphone di leggere articoli, scaricare video e audio e in generale navigare senza costi nei siti di informazione.
Va sottolineato che – a nostro avviso – non sarebbero necessari interventi legislativi, potendosi applicare il Decreto ministeriale 20 giugno 2014, in materia di “Determinazione del compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi ai sensi dell’art. 71-septies della legge 22 aprile 1941, n. 633”.
Questo non toglie che il Parlamento, il governo e gli stessi editori possano proseguire su altre due strade.
La prima è quella della Digital Tax introdotta dalla Legge di bilancio 2019, a carico soprattutto delle Big Tech, su cui però si registra l’ostilità degli Stati Uniti, già manifestatasi con il recente Rapporto del rappresentante per il commercio.
La seconda strada è quella degli accordi diretti con gli Over The Top, come avvenuto recentemente anche in Italia tra Google e 14 gruppi editoriali, o in Australia con Facebook.
Se fosse attuabile il prelievo sulle Sim telefoniche, un elemento strategico sarebbe quello della suddivisione dei contributi.
A nostro avviso, una quota percentuale dovrebbe andare direttamente alla previdenza dei giornalisti, una quota al sistema editoriale in base alle assunzioni di articoli 1 e 2 del Contratto di lavoro giornalistico effettuate su base trimestrale e verificate dal Ministero del Lavoro.
Il contributo potrebbe anche essere a termine, fino al raggiungimento dell’equilibrio previdenziale nel rapporto tra numero di contribuenti e numero di pensionati, attualmente sceso a 1,5 a 1 contro il rapporto 3 a 1 considerato come punto di equilibrio.