di Roberto Monteforte
Finalmente si centra il punto. Perché nelle discussioni sulla crisi dell’Inpgi non si chiamano in causa gli editori? Lo domanda Roberto Reale, collega serio e competente. E ha ragione a chiamarli in causa come “come i principali responsabili” del disastro dell’Istituto di via Nizza. Perché dati alla mano con le loro scelte – dagli stati di crisi senza rilancio delle aziende, ai licenziamenti senza assunzioni, sino ai prepensionamenti e alla precarizzazione del lavoro giornalistico – hanno dato un colpo durissimo ai conti dell’Inpgi. Non solo si è avuta una riduzione dei giornalisti attivi ma anche delle loro retribuzioni medie, a fronte di un aumento delle uscite per pensioni. Fa specie che questa banale verità sia stata messa nel cassetto, come fosse un dato di fatto ineludibile. Come quei 200 milioni di contributi dovuti, ma mai versati all’Inpgi dagli editori.
Va ricordato perché è proprio dalle cause del dissesto che si può iniziare a lavorare per trovare soluzioni, richiamando tutti alle proprie responsabilità. Nel momento in cui si verifica che la soluzione individuata dall’Inpgi e dai vertici della Fnsi come l’ingresso massiccio e immediato dei comunicatori nell’Inpgi mostra la sua impraticabilità, allora si imporrebbe un’operazione verità, con un confronto vero e approfondito su ogni possibile soluzione. Il tempo è strettissimo.
Sono i sei mesi di proroga concessi dal governo per la nomina del commissario. Con una condizione pesantissima: una cura da cavallo per ridurre lo sbilancio di 250 milioni. Sono allo studio tagli pesanti alle prestazioni. E’ evidente che occorre aumentare le entrate visto che non è risolutivo il previsto ingresso dei comunicatori pubblici. Perché allora non verificare la possibilità di recuperare all’Inpgi chi dei 50mila iscritti all’Ordine dei giornalisti professionisti e dei circa 60 mila pubblicisti è ancora fuori? Perché non utilizzare questo tempo per attivare un’iniziativa straordinaria dell’Istituto, degli altri enti di categoria, del sindacato a tutti i livelli con l’obiettivo di recuperare i crediti esigibili e puntare con determinazione alla regolarizzazione di tutte le situazioni di lavoro nero o precario e di attività giornalistica abusiva esistenti? Perché non cogliere l’occasione per aprire la professione a coloro che producono notizie sulle piattaforme web e digitali?
E rivendicare la non più rinviabile applicazione del contratto Fnsi a tutti i colleghi impegnati negli uffici stampa? Non sarebbe poco per i conti dell’Istituto. Vi sono ostacoli da rimuovere e norme da cambiare.
Anche nell’attuale situazione di crisi politica legata alla gestione delle risorse del Recovery Fund. Per questo servirebbe una forte pressione dell’intera categoria, quindi dell’Ordine dei giornalisti, della Fnsi, delle strutture territoriali e dei cdr per far approvare prima possibile dal Parlamento la riforma dell’acceso all’Ordine. Come pure per rimuovere gli ostacoli all’applicazione del contratto Fnsi ai dipendenti pubblici.
Per questo occorrono dialogo costruttivo e senso di responsabilità. Farebbero da spinta ad una forte e molto determinata iniziativa dell’Inpgi e del suo servizio ispettivo – semmai rafforzato – nei confronti delle imprese editoriali per contrastare abusivismo, lavoro nero e tutte le varie forme di evasione contributiva. Non si può salvare l’Inpgi se non si contrastano le scelte degli editori sulle crisi aziendali a partire dai prepensionamenti.
Questi sono solo i punti più evidenti di un’agenda d’iniziativa politica forte e unitaria della categoria a difesa del reddito e delle pensioni dei giornalisti che sicuramente darebbe qualche ristoro alle casse dell’Istituto. E sarebbe utile, qualsiasi fosse lo scenario futuro dell’Istituto: autonomo e privato, privato con garanzia pubblica, approdato all’Inps con garanzie particolari. Ogni ipotesi andrebbe approfondita, verificata con realismo, senso di responsabilità, senza demonizzazioni o falsificazioni.
Oggi, Invece, la rissa, l’insulto, la falsificazione e l’ingiuria hanno preso il posto del ragionamento, del confronto. Nessuno ha una vera ricetta in tasca, eppure volano gli anatemi. Finiscono sotto accusa tutti coloro che avanzano proposte diverse da quelle indicate dalla Fnsi o dall’Inpgi. Premesso che non è in discussione la difesa dell’autonomia dei giornalisti, viene da chiedersi se può essere assicurata solo mantenendo la natura privata dell’Inpgi. Non è un oggettivo condizionamento battere cassa alla politica ad ogni Finanziaria? Non lo sono il precariato e il lavoro nero? La polemica è scoppiata quando diversi colleghi hanno chiesto una “garanzia pubblica” per l’Inpgi: dal segretario di Stampa Romana, Lazzaro Pappagallo, al presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna che a nome dell’esecutivo nazionale ha rivolto un appello al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quindi al sindaco dell’Inpgi e esperto di previdenza PierLuigi Franz che sottolinea la persistenza natura pubblica dell’Istituto.
I toni di componenti della maggioranza della Fnsi si sono fatti di fuoco quando sono arrivate anche la presa di posizione dei consiglieri di minoranza dell’Inpgi e l’appello al Quirinale firmato da oltre 1500 colleghi. Per tutti è scattata la stessa accusa: perdete tempo perché nessun intervento pubblico è possibile data la normativa vigente. Di pubblico – si sentenziava – vi può essere solo il passaggio dell’Inpgi all’Inps con la perdita dei vantaggi che l’Istituto di via Nizza assicura e, cosa più pericolosa, dell’autonomia della categoria.
Asserzioni perentorie. Che sarebbe meglio approfondire. Come se i magistrati che hanno una pensione Inps si vedono per questo lesa la loro autonomia. Piuttosto dignità e autonomia dei giornalisti sono messe a rischio dalla precarietà del posto di lavoro, dall’essere sotto pagati o non vedere applicato il contratto, dall’essere licenziati o demansionati. Non dovrebbe essere questo il principale impegno del sindacato in particolare in questi anni difficili? Invece, tanta asprezza accompagnata all’esigenza di imporre un “pensiero unico” che mortifica il pluralismo interno alla categoria.
Pare segno di un nervosismo comprensibile quando non si riesce a dare risposte adeguate ai colleghi e si perde il contatto con le redazioni. Si prosciuga la capacità di rappresentanza quando ci si rinchiude nell’autorefenzialità. Lo provano quegli oltre 1500 colleghi che hanno preferito rivolgersi direttamente al Colle. Il buon senso porterebbe a cambiare rotta e a riporre le logiche muscolari. Di praticare davvero e in modo leale il confronto. Con senso di responsabilità. Aprendolo all’apporto di esperti, con tutti i necessari approfondimenti. Senza strumentalismi. Perché in gioco non c’è un congresso sindacale da vincere o un assetto di vertice da ribaltare. C’è il presente e il futuro di tutti noi.
Il tempo sono i sei mesi concessi dal governo per la proroga al commissariamento dell’Inpgi. Coinvolgimento, trasparenza, ascolto e soprattutto mobilitazione della intera categoria sono indispensabili per avere forza nel confronto con editori e governo. Non basta un tavolo tecnico con l’esecutivo. Quello delle pensioni non è solo tema interno all’Inpgi. Riguarda tutti i giornalisti italiani. Proprio per la tempesta politica, per gli effetti devastanti della pandemia e per la drammatica crisi economica che abbiamo di fronte non possiamo permetterci altro che un confronto vero e aperto a tutto campo, con una categoria unita. Oppure la crisi rischia di travolgere tutto.