di Elena G. Polidori (consigliere generale Inpgi uscente, membro di giunta Fnsi)
Il peggio – temo – debba ancora venire. E con ‘il peggio’ intendo quello di una categoria costretta sempre più a recarsi ai piani alti della politica ora per ottenere che Radio Radicale non venga messa in liquidazione, ora perchè si salvi l’Inpgi e le pensioni dei giornalisti di ieri e di oggi. E – se possibile – anche di domani.
E’ questo l’amaro in bocca che mi è rimasto uscendo, lo scorso 29 ottobre, dalla porta del consiglio generale dell’Inpgi, l’ultimo di questa consiliatura. Ho votato contro il bilancio Inpgi 1 (mentre su Inpgi 2 ho votato a favore, ma è in attivo e veleggia senza scosse), anche se i conti sono sostanzialmente corretti. Numeri che esprimono tutta la drammaticità del momento e anche il senso, profondo, di rammarico per essersi trovati davanti ad un ‘moribondo’ senza aver avuto la possibilità di salvarlo. Almeno, non ora.
Ho votato contro per una ragione squisitamente politica. Ritengo infatti che i vertici dell’Istituto non siano stati politicamente in grado di gestire l’emergenza. Perchè sì, ancora, c’era bisogno di avere un’interlocuzione politica forte con tutti i governi che si sono avvicendati durante questo quadriennio (sono stati 4, più o meno uno all’anno) e invece si è atteso, quasi nell’immobilismo più assoluto e facendo leva solo sulle fragili forze di cui eravamo a disposizione in proprio, di cercare di portare l’Inpgi fuori dal pozzo nero in cui è caduto.
Lo dicono le cifre di bilancio che siamo ormai dentro il baratro; per il nono anno di fila Inpgi ha chiuso in rosso, con una perdita di 150,67 milioni. C’è uno sbilancio tra entrate contributive (390,3 milioni) ed uscite per il pagamento di pensioni (559,4 milioni) che vale 169 milioni di ‘perdite’. Diventeranno 188 milioni nel 2020 quando si prevede di chiudere in rosso di 181 milioni. Senza nuove entrate fresche, quel che resta nella ‘cassa’ basterebbe per pagare solo 2,6 anni di pensioni. Nel 2028 il patrimonio diventerà negativo.
La domanda che sento porre, a chi ci guarda dall’esterno tra stupore e sbigottimento, è sempre la stessa: che cosa avete fatto, voi che eravate lì dentro, per scongiurare tutto questo? Poco, anzi nulla. Perchè non è colpa nè di chi governa l’Inpgi, nè di chi siede in consiglio generale, se gli editori (tutti, escluso nessuno) non assumo più giornalisti con un regolare contratto articolo 1. Quello che fotografano, infatti, i bilanci dell’Istituto è una professione sempre più autonoma e povera (l’Inpgi 2 è florido, ma i contributi parlano di giornalisti che guadagnano al massimo 9 mila euro l’anno) e una dipendente sempre meno numerosa, ma ugualmente povera perchè chi entra oggi in una redazione (una perla rara) ha uno stipendio molto basso e spesso deve rinunciare ad integrativi e altro pur di avere un contratto finalmente a tempo indeterminato.
C’è di più; gli editori, non domi di aver scaricato, negli anni, sulle spalle dei giornalisti il costo del lavoro di un settore senza dubbio in crisi – ma assai meno di come lo dipingono loro – vogliono ancora di più. Vogliono (e lo hanno chiesto con chiarezza al nuovo governo) di poter fare nuovi prepensionamenti. Si parla di 90 persone che verranno accompagnate all’uscita prima del tempo, con ulteriore aggravio di costi per l’Istituto.
Che, anche in questo caso, sarà costretto a stare a guardare. O meglio, potrebbe reagire, ma non lo fa. Perchè c’è una partita in gioco su cui si insinuano tutti i miei dubbi e quelli di molti colleghi che mi sono stati accanto in questi anni; l’allargamento della platea dei contributori Inpgi. Si parla dei ‘comunicatori’.
La legge voluta dall’allora sottosegretario Durigon dice che se l’Inpgi non riesce a salvarsi da solo (lo dico a parole mie), allora i ‘comunicatori’ che oggi versano all’Inps passeranno da noi. Un’iniezione di denaro fresco per le casse dell’Istituto, ma non tutto indirizzato verso l’Inpgi 1, ma anche verso l’Inpgi 2 perchè molti di questi ‘signori della comunicazione’ lavorano a partita iva, mentre all’Inpgi 1 arriveranno solo i lavoratori degli uffici stampa della pubblica amministrazione e società collegate i cui stipendi sono assai bassi, molto spesso ben sotto la prima voce dell’articolo 1 appena assunto.
E con questa flottiglia di persone si crede forse di salvare l’Inpgi? Personalmente non ci credo neanche un po’. Credo che, alla fine, l’arrivo – ormai imminente, si parla di marzo – di queste persone non farà altro che allontanare il momento del fallimento di qualche anno, ma non riuscirà a mettere i conti Inpgi in sicurezza per almeno un cinquantennio.
Ma, allora, come si salvano le pensioni? Andando all’Inps? Siamo arrivati al punto di vedere la confluenza nell’Inps (onerosissima) come un’ancora di salvezza, ma è un errore. Per chi oggi ancora lavora, il passaggio gli farebbe perdere il calcolo favorevole (con il retributivo) degli anni prima del 1996. E non ci sarebbe la quattordicesima, il contributo di solidarietà sulle pensioni alte, che per l’Inpgi scade a marzo, per l’Inps prosegue fino al 2023, l’indennità di disoccupazione scenderebbe del 28%. Non sono poi previsti fondi per gli infortuni, la reversibilità per i superstiti è più bassa,i contributi sulle partite Iva per l’Inps sono al 25,72%, da noi al 12.
A spanne, è stato fatto un calcolo che i giornalisti attivi oggi lascerebbero sul campo, con il passaggio, il 30% della loro pensione e non è detto che anche per le pensioni in essere potrebbe esserci la stessa misura di ricalcolo. Sarebbe incostituzionale, ma hai visto mai…
Ecco perchè si pensa ad altro. Ai comunicatori, certo, per mettere una ‘toppa’ e prendere tempo, ma anche a far ritornare l’Istituto ente pubblico, proprio come l’Inps, come era prima del 1994. Solo in questo modo si evita il rischio, oggi concreto, di far ricevere ai giornalisti, un giorno, solo la pensione sociale.Ma per fare questo ci vuole una robusta scelta politica che la precedente maggioranza non ha voluto fare. Invece, bisogna agire subito. E anzichè andare a chiedere elemosine su elemosine ad una politica che, non a caso, privilegia invece solo le istanze degli editori con i prepensionamenti e tiene noi a guinzaglio corto, bisogna mettere sul tavolo una richiesta secca di ritorno alla ‘funzione pubblica’, passaggio giuridico che salverebbe non solo le pensioni, mettendogli sopra l’ombrello delle salvaguardie statali, ma anche la nostra autonomia di categoria che il passaggio all’Inps, invece, metterebbe profondamente a rischio.
La prossima legislatura, a mio parere, dovrà lavorare su questo fronte, senza dimenticare di opporre uno sbarramento deciso ad ogni forma di nuovi arrembaggi da parte degli editori che hanno usato fin troppo l’Istituto come un bancomat per salvaguardare, intonse, le loro faraoniche cedole. Insomma, ‘prima la mia pensione, poi il tuo guadagno’ è uno slogan da cui non potremo più prescindere. Potevamo pensarci prima, certo, ma non tutto è ancora perduto; useremo il tempo che verrà, come Stampa Romana, con i nostri nuovi eletti, per salvare i nostri contributi e, con loro, anche la dignità e l’autonomia dell’intera categoria dei giornalisti.