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INPGI: si parva licet

Il bilancio dell’Inpgi è stato sottoposto al Consiglio generale il 18 aprile dalla presidente Marina Macelloni.

Sulla scorta del via libera unanime del Cda, compresi, dunque, i due consiglieri di minoranza, Macelloni ha esposto il quadro di dati e il contesto politico in cui l’Istituto si è mosso. Il bilancio è stato approvato con 47 sì, compreso il mio, 4 no e un astenuto.

A indurmi a votare a favore, diversi elementi. Primo fra tutti il desiderio, spero non velleitario, di opporre ad una classe politica oggettivamente avversa alla categoria, una risposta il più possibile compatta. Compatta non a difesa di privilegi inesistenti, ma di una visione dell’informazione indipendente, critica, e in grado con i suoi operatori di riformare se stessa e i propri istituti.
E su questo versante, c’è la proposta di ampliamento della platea contributiva, con l’apertura ai comunicatori.

Uno sviluppo, quello dell’ampliamento, che è fra i punti del programma di Informazione@futuro fin dall’inizio e che, va detto, dall’avvio del suo mandato, Macelloni ha indicato come esigenza ineludibile (insieme ad una sobrietà di gestione, anche questa indicata da Informazione@Futuro, tradottasi nell’azzeramento di gettoni del Consiglio, riduzione degli emolumenti del Cda, calo delle spese di gestione).

Ora, tra difficoltà, resistenze e incertezze, il tema dell’allargamento è sul tavolo di una interlocuzione istituzionale che è arrivata tardi, certamente (anche per il faticoso avvio della legislatura), ma che almeno metterà ciascuno di fronte alle proprie responsabilità.

I conti, che sono disponibili sul sito dell’Inpgi con i documenti di bilancio, sono certamente preoccupanti. Anzi, drammatici, attestandosi su -147,6 milioni per quanto riguarda la gestione previdenziale e -161,3 milioni per il risultato economico. Allo stato, fra una decina d’anni, cioè quando molti di noi potranno aspirare alla pensione, rischiamo di trovare la serranda abbassata. Una prospettiva, tra l’altro, che era chiara a tutti da qualche anno, e rispetto alla quale l’Inpgi, ha messo mano a una riforma dolorosa e che qualche effetto benefico, secondo la relazione della presidente Macelloni, lo starebbe producendo.

I conti, poi, sono il portato di un andamento del mercato, di un’evoluzione della professione, di mancati investimenti da parte di molti editori, che hanno significato più pensioni da erogare e meno giornalisti attivi e regolarmente inquadrati che versano contributi.

A fronte di tutto ciò, ci sono responsabilità politiche di chi, almeno negli ultimi cinque anni, ha messo nel mirino i professionisti dell’informazione, un vento di insofferenza vieppiu’ venato di arroganza e infine sfociato nell’arbitrio (si è partiti con le agenzie di stampa, si vorrebbe arrivare a chiudere Radio Radicale, senza contare le testate diffuse e a torto definite minori).

Ci sono, quindi, le situazioni di tanti colleghi messi ai margini o espulsi dal lavoro ai quali l’Inpgi deve dare risposte la cui ampiezza e incisività, credo, derivino anche da altre istanze. Se l’Istituto può fare di più sul fronte del recupero dei contributi, può forse farsi in via esclusiva carico del mancato rispetto della Legge 150 sugli uffici stampa nel settore pubblico, di un effettivo ricambio generazionale nelle redazioni, della difesa del valore economico del lavoro di chi fa informazione nell’era delle notize gratis su cui comunque qualcuno lucra somme da capogiro? A fronte di tutto questo, non riesco a prendermela con i numeri o con i singoli. Contano di più la consapevolezza delle difficoltà in corso, la capacità di reazione, la volontà di sfidare la corrente avversa.

E anche un pizzico di senso di appartenenza. Quello per cui nelle sedute del Consiglio generale si pongono le questioni che toccano la carne viva delle persone che si sono dedicate alla professione, si cercano le risposte, si difende il ruolo delle associazioni sindacali regionali troppo spesso messe sotto accusa sulla base di giudizi ‘a priori’, si portano, insomma, le ragioni del lavoro. Secondo una gerachia di priorità dove le disquisizioni tecnico-giuridiche-contabili, pur significative, dovrebbero saper far posto alle questioni materialmente urgenti della categoria.

Eppure, anche in questa seduta del Consiglio mancavano i rappresentanti dei ministeri vigilanti (ah, e il Lavoro c’è, o ci sarebbe, insieme all’Economia).
Una circostanza abbastanza deplorevole, ad essere diplomatici. A maggior ragione se si pensa che nel corso della riunione è risuonato l’allarme rispetto a chi, a livello politico-istituzionale, “vuole lo scalpo della categoria”.

Per questo, penso che nessun alibi, anche involontario, debba poter risultare un appiglio per chi ostenta tale distacco verso quello che resta l’unico ente che amministra una forma sostitutiva dell’assicurazione generale
obbligatoria in regime di diritto privato. Con tutte le difficoltà del caso, e di cui noi stessi ci facciamo carico.

Anche se a qualcuno possiamo non piacere, e diamo fastidio… Se non il voltastomaco.

Cristiano Fantauzzi:
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