Dal digitale ai diritti, l’intervento di Lazzaro Pappagallo al congresso Fnsi

Riportiamo di seguito l’intervento di Lazzaro Pappagallo in occasione del Congresso Fnsi, organizzato a Trento dal 12 al 14 febbraio 2019. Il testo è quello integrale, più lungo rispetto all’intervento pronunciato dal vivo per rispettare i tempi concessi ai relatori.

 

La più grave crisi dell’editoria nazionale: una crisi di ricavi per le aziende, di diritti per i colleghi, di credibilità per l’informazione, di scarsa innovazione nel processo e nel prodotto. Una crisi subita anche dal sindacato che perde a sua volta spazi di manovra, interlocuzione, iscritti. Se questo è vero, dobbiamo riscrivere il patto sociale della nostra comunità. Individuo almeno due orizzonti sui quali lavorare: digitale e diritti.

Digitale significa guardare in avanti redistribuendo le risorse. Mentre sono tagliati i contributi pubblici all’editoria, mentre la politica ritiene giusto che ci siano asimmetrie in nome del dio mercato, noi vediamo che il dio mercato ha esasperato le asimmetrie. I padroni autentici del vapore si chiamano oggi over the top. Sono i proprietari di Google, Facebook. Aziende che ci imprigionano in due gabbie. La prima è quella degli algoritmi, dell’applicazione culturale della scelta, tutta nelle loro mani, di cosa sottoporci come visione del mondo e nel nostro settore come notizie. La seconda è il saccheggio delle risorse. Il cinquanta per cento del valore aggiunto perso negli ultimi dieci anni, dati Mediobanca, è scivolato con i nostri dati personali sui notiziari di Google, sugli instant articles di Facebook, senza che poi apprendessimo il segreto del loro successo. I social e la loro forza sta nella capacità di dialogo e interazione dei cittadini.

Il sito italiano più social, La Stampa, fa due interazioni al giorno con gli utenti. E vogliamo parlare dei nostri siti: tutto gratuito. Un errore quello del tutto gratis, del tutto aperto. Un errore dei nostri editori che deve essere tema di confronto duro e serrato tra FIEG e FNSI. Conosco un solo parametro perché l’informazione sia di qualità cioè che l’informazione sia pagata. Risorse dagli over the top per aprire una serie di cantieri professionali e sui diritti.

Le nuove professioni, i nuovi profili professionali assaggiati nell’Uspi devono essere il cuore della sfida contrattuale. Abbiamo bisogno di redattori ordinari indistinti o anche di videomaker, di social media manager, di giornalisti che lavorano col mobile, di ingegneri dell’algoritmo? La risposta è sì. Abbiamo bisogno di allargare la maglia del prodotto.

Leggevo la brillante evoluzione del New York Times. Assume giornalisti a centinaia, conti perfetti. Bene. Poi leggo che i soldi li fa anche con le parole crociate digitali. Le aziende editoriali non vivono solo di informazione ma anche di altri servizi digitali che servono a recuperare credibilità e valore aggiunto al prodotto.

Le nuove figure professionali consentono un ricambio generazionale non più rinviabile, riportano aria fresca in redazioni dove bisogna discutere. Avere risorse significa assicurare diritti. I diritti costano. Una banalità che mi sembra il caso di ricordare. E così si aiutano le troppe zone d’ombra della nostra professione: i lavoratori autonomi innanzitutto.

Stampa romana con i siciliani ha presentato ricorso al TAR perché quella partita si deve riaprire. Dobbiamo assicurare minimi dignitosi che non precipitino i colleghi al di sotto della soglia di povertà. E bisogna eliminare i cococo dal contratto. Oggi con le partite iva tassate al 15 per cento fino a 65mila euro non c’è bisogno dei cococo. E dobbiamo fare politiche di inclusione sul contratto principale. Deve anche finire l’idea che le aziende si curano con i prepensionamenti, con i soldi pubblici che distruggono occupazione e non la creano.

Risorse significa affrontare la ricognizione degli esodati, di chi non ha lavoro, ammortizzatore sociale e pensione e ha più di 58 anni. Penso anche alle vicende drammatiche di cinque colleghe licenziate a Sky in barba ad accordi sindacali e due al Mattino allo stesso modo. E si possono affrontare le manleve sulle querele temerarie per assicurare agibilità professionale ai più deboli o garantire quei colleghi non più protetti da aziende editoriali fallite.

Per fare tutto questo il sindacato prossimo unitario ha bisogno di tre cose: ascolto della base, dialogo con tutti gli attori in campo, un rinnovo del patto federale.
Si ascoltano i colleghi in tutte le sedi in tutti gli spazi, statutari e non, in tutte le occasioni disponibili. Prendiamo la ex fissa: un istituto travolto dagli anni. Era giusto ridefinire spazi e quantum, non era giusto sentirsi infastiditi da quei colleghi che chiedevano spiegazioni e qualche certezza. Proviamo a risolvere i conflitti in casa e non nelle aule dei tribunali. Di fronte a critiche severe su gestioni degli enti di categoria non si attivano i tribunali civili, si risponde nel merito, avendone pieno titolo.

Ascoltare significa accogliere la richiesta che arriverà dai comitati di redazione romani: scriveranno una lettera a Lorusso e Giulietti in cui chiedono subito una due giorni di confronto di consulta nazionale non solo per eleggere la commissione contratto ma per affrontare la crisi, esser ascoltati. Essere ascoltati significa riconoscere le difficoltà delle agenzie di stampa, in balia di un regime di incertezze, con stati di crisi unilaterali delle aziende. La FNSI faccia propria la legge di sistema approvata all’unanimità da stampa romana e la porti in parlamento al confronto con le forze politiche. Ascolto significa parlare con Aran e siglare un contratto e figura professionale per il giornalista che lavora per il pubblico.

Dall’elenco di queste urgenze è inevitabile il secondo passaggio: riaprire canali di dialogo. Con tutte le forze politiche e con il Governo. Non abbiamo bisogno di aventinismi. Il che non significa aderire a nulla se non ai nostri valori e alle nostre necessità. A me non scandalizza affatto, per essere chiari, che il salva Inpgi sia spinto dalla Lega, affatto. Siamo un sindacato unitario anche per questo perché tutto torni a sintesi dopo una partenza plurale.

Infine il patto federale. A Roma lo interpretiamo così. La federazione sintetizza le ricchezze del territorio. Noi siamo i sensori e portiamo al centro problemi e qualche soluzione.

Qualche esempio del lavoro della romana? Ne cito quattro. Il festival del mobile journalism una cosa grande bella e forte organizzata da un sindacato. La convenzione con gli uffici giudiziari di Viterbo, procura e tribunale, per portare a casa una possibilità di interlocuzione sempre aperta in un luogo difficile come il tribunale. Una organizzazione per macroaree che accoglie anche chi non è iscritto al sindacato. Un ex manager che aiuta i colleghi a creare impresa. Sono tutte cose che interessano FNSI, che possono essere finanziate da FNSI? Siamo curiosi di capire se questo orizzonte appartiene al patrimonio del sindacato unitario dei giornalisti.

Già ma per fare cosa?
Per fare informazione ancorata ai fatti, in giro per le città, in giro per il mondo, non omologata, piena di prospettive, recuperando l’orgoglio di cronisti e inviati, rompendo le scatole ai poteri forti, deboli, economici, sovranazionali, (dalle redazioni più piccole al servizio pubblico dove devono lavorare tutti i 2mila colleghi, nel rispetto delle regole, senza discriminazioni, con il giusto contratto nelle reti come nelle testate, con le selezioni pubbliche e la dovuta trasparenza sempre a iniziare dagli avanzamenti di carriera).

Quello era il mestiere un secolo fa, questo e’ oggi e questo sarà domani. Fake news? Un secolo fa da queste parti ci fu Caporetto. Uno dei migliori inviati italiani Barzini non scriveva la verità per ragioni di patria. Scriveva la verità, cosa accadeva al fronte, le morti, le miserie, la vita in trincea nelle lettere a casa alla moglie. Fake news allora? Sempre esistite. Propaganda? Idem. Cambiano solo i mezzi oggi molto più invasivi. A noi il compito di essere servitori fedeli e leali dei fatti e con questo recuperare il rispetto dei cittadini. E forse finalmente si tornerà a scioperare perché si avrà la forza per farlo.

Lazzaro Pappagallo

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