Tanto vale dirlo subito, sono completamente a digiuno di questioni sindacali, ma avendo una storia professionale da raccontare, stavolta ho accettato volentieri l’invito a candidarmi tra i Professionali di Stampa Romana per informazione@futuro insieme alla componente Senza Bavaglio. A dire il vero sono stato indeciso fino all’ultimo su che incipit usare per presentarmi. Avevo pensato al classico: “Scendo in campo”, ma è troppo politicamente sdoganato. Ma è proprio con questa dicitura che mi è venuta in mente una metafora calcistica. Io non “scendo in campo”, ma “resto sugli spalti”. Esatto. “Resto sugli spalti” per dimostrare che esiste una parte di questo nostro mestiere fatta non di “lustrini e delle paillettes”. “Resto sugli spalti” al fianco di quei colleghi freelance che lottano ogni giorno per poter mettere una firma su un giornale, prendere una collaborazione in una radio, in una tv. “Resto sugli spalti” per dare voce ai tanti “invisibili” del giornalismo che si trovano a combattere ogni giorno e che avrebbero la giusta visibilità e il giusto compenso se solo venissero messi alla prova ad armi pari con tutti gli altri senza dover ogni volta arrampicarsi sugli specchi per cercare lavoro e poi, inesorabilmente, scivolare. “Resto sugli spalti” per gridare insieme agli altri la propria rabbia contro quegli editori “non puri”, senza scrupoli, che creano situazioni nuove e le chiudono dopo tre mesi. Che fanno firmare contratti pari alla carta straccia, che tengono professionisti ostaggi di Partite Iva. Che se ne fregano altamente di tutto e di tutti, di contributi previdenziali da versare, di orari da rispettare, di gerarchie, anzianità, ruoli, lasciando poi a casa le persone a loro piacimento e magari tra queste c’è chi ha un mutuo, una famiglia, un affitto, un’età. Che pagano i collaboratori 5 (ma a volte anche meno) miseri euro a pezzo. Quelli che non fanno firmare nulla, ma dicono: “Intanto iniziamo a collaborare, poi vediamo”. Si, ho deciso che “restare sugli spalti” piuttosto che scendere in campo sia la cosa migliore perchè è sulle gradinate di uno stadio che si alzano i cori, sia essi di incitamento o di protesta. E’ sugli spalti che si sente il calore, la passione. La stessa passione che ho avvertito parlando in questi giorni con i miei compagni di viaggio di questa avventura elettorale che ci apprestiamo a vivere.
Sono un Professionista, precario da sempre e dopo l’ultima delusione lavorativa chiamata Agon Channel, in Italia non sono piu’ riuscito a trovare un lavoro nonostante decine di colloqui e promesse. Ma bisogna pur lavorare e se in Italia le porte sembrano chiuse ovunque, bisogna rivolgersi all’estero. Ed eccomi qui, storia recente, a 51 anni, rimettermi nuovamente in gioco, lasciare una/due volte al mese casa, famiglia e affetti per andare in Francia, a Lione, dove c’è la sede di Euronews. A fare cosa? Il mio lavoro: preparare notizie, speakerarle, montare servizi, fare interviste, confezionare edizioni dei tg della All News paneuropea per quanto riguarda l’equipe italiana. Fare vita di redazione. In Francia ci chiamano “Pigiste”: colui che è pagato a “la pige”, a prestazione. Insomma, un freelance. Ma qui viene il bello. La figura del Freelance cin Italia è considerata alla stregua di un “mendicante”, mentre in Francia è una figura professionale riconosciuta e come tale messa sotto contratto per ogni sua prestazione. Un contratto vero, fosse un solo giorno di lavoro o fossero quindici, con un emolumento stabilito in base alla propria anzianità, al proprio curriculum e alle proprie capacità. Pagati a ore, certo, ma con il rispetto delle regole: ad ogni ora in più corrisponde uno scatto nel pagamento, ogni orario notturno è pagato doppio, come ogni domenica e ogni festivo, con viaggi, vitto e alloggio pagati. Cosa sto raccontando? Solo quella che dovrebbe essere la normalità nella società civile. Faticoso? Sì, lo è. Almeno quattro aerei al mese, vivere in quei giorni in un residence, abituarsi a lavorare, prendere il ritmo e tornare poi in Italia da disoccupato in attesa della chiamata successiva non è facile per niente. Ma è un sacrificio necessario e lo faccio volentieri perché amo questo lavoro che, nonostante le difficoltà nel mio Paese, reputo il più bello del mondo.
Cito un aforisma che conosciamo bene: “Fare il giornalista? Beh, sempre meglio che lavorare”.
Parole sante se solo nel nostro Bel Paese ci fosse la possibilità (per tutti quelli che lo meritano) di accedere al sistema così per come venne progettato, da assunto o da freelance, ma nel rispetto delle regole, ma qui gli schemi da anni sono saltati e serve, nelle giuste sedi, la forza per poter ricostruire dalle macerie rimaste.
Informazione e Futuro, un bel binomio. Senza Bavaglio, sinonimo di libertà. Proprio per questo motivo ho accettato l’invito a candidarmi insieme ad altri valenti professionisti. Nasco sugli spalti e resto su questi spalti. Scenderemo in campo solo quando sarà ora di fare il nostro, meritato, giro d’onore.
One Reply to ““Scendo in campo”? No, resto sugli spalti… e vi spiego il perché”