La storia che mi vede mio malgrado protagonista inizia pochi giorni prima del Natale 2016 quando sul portale intranet dedicato alle comunicazioni riservate a tutti i dipendenti Rai appare nella sezione job posting l’invito a presentare candidature per alcune posizioni da caporedattore. Quelle che mi riguardano per esperienza e curriculum sono quattro. Due posizioni sono presso la mia testata -il Tg1- e altre due presso il Tg3, la testata dove -nel 1987- sono stato assunto in Rai. Per la prima volta si possono candidare non solo vice-caporedattore e inviati ma anche i capo-servizio. Si tratta di una novità contenuta in una circolare del 29 novembre 2016 (cioè 21 giorni prima dell’apertura del job posting in questione) che legittima nelle testate nazionali quella pratica del “doppio salto” da sempre invisa a chiunque abbia un minimo di rispetto per il buon senso e le regole che governano la nostra professione. Purtroppo in Rai le regole sono come gli elastici: si adattano alle circostanze.
Avrei dovuto tenere in maggior considerazione che il diavolo si nasconde nei dettagli e che quell’estensione ai capo-servizio delle procedure concorsuali alla posizione di capo-redattore altro non fosse che un disegno studiato a tavolino per lasciare mano libera ai direttori e mettere così le persone giuste al posto giusto. Tuttavia la fiducia verso la trasparenza insita in una selezione pensata e gestita da una società che amministra soldi pubblici e verso i principi contenuti non solo nel contratto ma anche nella carta dei diritti e dei doveri dei dipendenti Rai mi convinse che valeva la pena provarci e così riempii i moduli online, allegai i curriculum e mi candidai a dirigere le redazioni Cronaca del Tg1 e del Tg3, Speciali del Tg3 e Società del Tg1. Si trattava delle quattro redazioni dove, come vice-caporedattore con mansioni di inviato e forte di un’esperienza nell’attualità lunga ben più dei miei trent’anni in Rai, avevo maggiori possibilità di riuscita. Ad illudermi che nonostante quel “dettaglio” la Rai non sarebbe arrivata ad ignorare esplicitamente i curriculum era stata anche l’assenza di contrasto da parte dell’Usigrai che prediligendo la strategia della politica sotto-banco aveva accolto la circolare che autorizzava il doppio salto senza fare fuoco di sbarramento.
Come sia andata a finire è facile immaginarlo. Nonostante nei colloqui avessi sempre premesso che trent’anni di esperienza come inviato di cronaca in Italia e all’estero, declinata sia nei telegiornali che nei programmi di approfondimento, fossero motivazioni da tenere ben presenti, per nessuna delle quattro posizioni venni ritenuto idoneo. In un caso venni superato nella selezione proprio da un capo-servizio assunto in Rai da pochi anni senza che il Cdr (in quel caso del Tg1) spendesse una parola non tanto per me ma in sostegno di quel collega vice-caporedattore della redazione in questione che dall’oggi al domani si era trovato nella condizione paradossale di essere prima superiore gerarchico del capo-servizio vincitore del concorso e poi suo sottoposto. L’ovvia conseguenza di una scelta aziendale che non potevo condividere è stata quella di volerci vedere chiaro.
Purtroppo non avendo dalla mia parte i colleghi dell’allora Cdr che peraltro erano rimasti in carica nonostante uno dei membri si fosse dimesso perché distaccato ad un programma non giornalistico, non avevo altra scelta che rivolgermi ad un avvocato e aprire una vertenza. Lo feci con Enzo Iacovino, un tipo tosto fino a 7 anni fa consulente del sindacato poi allontanato proprio per questa sua caratteristica. Iacovino preparò una richiesta di accesso agli atti interpretando al meglio la mia volontà di vederci chiaro e di capire se fosse normale che un’azienda pubblica sottoposta al controllo dell’Anac e con un dirigente preposto ad implementare anti-corruzione e trasparenza potesse dare vita a procedure concorsuali di cui tutti (singoli giornalisti e sindacato) ignorano i criteri. Per due volte il mio avvocato ha messo il pallone in rete. La prima davanti al Tar ottenendo un’ordinanza dai toni molto severi che impone alla Rai massima disponibilità e trasparenza verso quel dipendente (giornalista e non) che ha buone ragioni per sentirsi scavalcato in procedimenti di nomina; la seconda davanti al Consiglio di Stato dove Iacovino e i suoi collaboratori hanno smontato pezzo per pezzo il ricorso della Rai che puntava a negarmi nonostante tutto i curriculum dei miei concorrenti. Una vittoria piena ottenuta in secondo grado anche grazie alla costituzione in extremis di Federazione della Stampa e Usigrai che avevo sollecitato a schierarsi al fianco non solo mio ma di tutti i colleghi che avevano riposto nei job posting la speranza che le nomine in Rai venissero finalmente circondate da un minimo di trasparenza tenendo finalmente conto dei curriculum.
Questa duplice vittoria rimette a questo punto la palla in gioco affidando all’Usigrai il compito di ripristinare sia le regole che il buon senso. Due a mio giudizio le cose da fare da parte del sindacato: la prima è quella di assicurare ai cdr massimo sostegno nell’applicazione delle norme dell’articolo 34 e di quelle specifiche contenute negli accordi aziendali limitano in Rai lo strapotere dei direttori; la seconda è quella di cambiare atteggiamento: quando l’azienda decide di violare esplicitamente le regole e quindi di perpetrare pratiche anti-sindacali, ogni arma deve essere utilizzata, compresa quella del ricorso al giudice del lavoro.
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