Ho sempre pensato che alla crisi dell’editoria sarebbe stato possibile dare risposte e soluzioni praticabili. E questo fin dai tempi delle prime crepe, che gli stessi editori hanno aperto nel sistema a metà degli anni novanta per recuperare la flessione di ricavi che una riduzione di carichi pubblicitari aveva portato dentro i giornali per la prima volta in modo serio. Pensavo già allora che fossero sbagliati alcuni investimenti che gli editori facevano nei periodici con nuove nascite disegnate a uso e consumo della raccolta pubblicitaria e non nell’interesse reale dell’informazione. Molti dei periodici che la Rizzoli, ad esempio, faceva nascere, trasformare e chiudere hanno generato una crisi fortissima di quel gruppo che alcuni manager sono stati anche capaci di far arrivare al quotidiano più forte d’Italia, il Corriere della Sera. Non solo lo pensavo, ma lo combattevo come sindacalista del mio periodico di allora Il Mondo e come rappresentante sindacale di tutti i giornalisti della Rizzoli periodici.
Precedentemente avevo assistito al Mattino di Napoli al primo rinnovamento tecnologico nella professione vissuto e accettato a nostre spese e soprattutto a spese dei poligrafici, negli anni Ottanta. Il passaggio dalle macchine da scrivere ai primi computer ci ha bruciato occhi e posti di lavoro per una manciata di lire dentro un contratto e fuori, in patti integrativi aziendali che solo i grandi gruppi mettevano sul tappeto. Salvo poi disattenderli. Ho comunque sempre creduto che rappresentare i problemi concreti con un occhio anche alle esigenze di un editore fosse l’unica strada per superare crisi contingenti o di prospettiva. La strada che mi ha portato al Romanista era ancora lunga e articolata e tutta da scrivere. Ci sono arrivato da vicedirettore nel 2010. Il quotidiano era stato chiuso e riapriva con un editore interessato solo alla legge per l’editoria e arrestato dopo tre mesi dal mio arrivo. Dopo quattro anni faticosi di cui due senza stipendio per me e per altri colleghi di cui sentivo il peso e la responsabilità anche “quel” Romanista, trasformato nel frattempo in cooperativa per poter sopravvivere, chiuse e falli’ miseramente nell’estate del 2014. In questi ultimi anni, tuttavia, non ho mai smesso di pensare che le soluzioni fossero ancora possibili per un progetto quotidiano, anche cartaceo, che avesse conti precisi e investimenti mirati e senza sprechi. Come me l’ha sempre pensato l’Associazione Stampa Romana che mi ha sempre fornito sostegno psicologico, materiale e sindacale. Grazie al quale mi sono riavvicinato all’attività sindacale, prima con Paolo Butturini, e poi in misura maggiore e più coinvolgente con l’attuale segretario, Lazzaro Pappagallo. Con lui ho condiviso visione generale e visioni di corrente. Anche grazie a lui ho trovato ancora una volta la forza e l’energia per lanciarmi nella nuova impresa di contribuire alla rinascita del nuovo Romanista, tornato in edicola il 15 settembre del 2017. Un Gruppo editoriale, già proprietario di Ciociaria Oggi e Latina Oggi, “Iniziative Editoriali” rappresentato da un manager illuminato e abile, Massimo Pizzuti, ha creduto nelle possibilità che ho sottoposto e che si sono saldate con le loro intenzioni. Dopo avermi cercato hanno investito nella mia voglia di rivincita e riscatto, e nella loro idea di quotidiano e d’azienda. E siamo partiti. Ho avuto la possibilità di rifare una squadra insieme a Pizzuti, dal direttore all’ultimo stagista. Ho ricontattato tutti i ragazzi che avevano perso il loro posto nel 2014 e ho fatto fare anche a nuovi giovani giornalisti contratti articoli 1 e articoli 2. E collaborazioni. Serie. Tutti vengono pagati e non 10 euro a pezzo. Un miracolo? Per ora si lo è. Un caso unico? No il quotidiano Il Romanista e’ solo la dimostrazione che è ancora possibile uscire, anche in questa nuova era, con un’idea prodotto verticale cartaceo e web e social. Il quotidiano di cui mi occupo dal punto di vista più editoriale che giornalistico, per svago, caparbietà sindacale, e per combattere con l’attività l’età che avanza insieme a una malattia da sconfiggere, è e sarà la conclusione del mio essere giornalista in pensione. Ma sarò sempre un sindacalista-organizzatore al fianco di giovani con la passione per la notizia, l’informazione e la voglia di scavare dietro le apparenze. Perché se io mi fossi fermato a quello che sembrava anni fa non sarei mai arrivato a fare il giornalista. Oggi fondere insieme carta, sito del quotidiano, un forte gruppo Facebook, interventi-video e mixare tutto sui social diversi è la carta per fare questo mestiere. Ma non ci si può fermare a questo. Bisogna pensare e capire dove spostare la prossima pedina. Perché statene più che certi: presto la dovremo spostare nuovamente. Molto presto.
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