Rai: i conti dello sciopero

Di Alessandro Gaeta – segreteria stampa romana e inviato speciale tg1

Diciamo le cose come stanno: lo sciopero dei giornalisti Rai del 6 maggio 2024 (il primo da 14 anni) non è stato un successo. Dall’Usigrai fanno sapere che l’adesione è stata del 75 per cento ma quello che vale non è il dato numerico ma l’effetto che lo sciopero ha avuto tra i telespettatori.

Quanti si sono accorti dell’agitazione dei giornalisti Rai? Nessuna edizione del Tg3 è andata in onda ma così non è stato né al Tg1 né al Tg2. Al Tg2 i giornalisti che hanno aderito allo sciopero sono stati 49 mentre i presenti al lavoro sono stati 51. Perfino nelle due roccaforti dell’Usigrai che sono la Tgr e Rainews lo sciopero ha registrato delle crepe.

Le adesioni al Tg1, il perno dell’informazione del servizio pubblico, sono state ben al di sotto del cinquanta per cento dei colleghi in orario. Abbiamo scioperato in 43 e 55 hanno scelto di non farlo. Se vogliamo consolarci possiamo anche aggiungere quel numero indefinito di colleghi che anziché scioperare hanno scelto di mettersi di riposo ma il risultato finale cambia poco: le forzature operate dalla direzione del Tg1 con la messa in onda di edizioni principali e perfino di un’edizione straordinaria per l’ennesima strage sul lavoro, è stata possibile perché c’era un numero adeguato di colleghi che ha scelto di non aderire.

Al Tg1 non era mai successo. Si sono sentiti così forti, parlando con parole d’altri tempi di “sconfitta storica per il sindacato rosso”, da calpestare senza pensarci due volte un accordo sacrosanto firmato nel 2000 che regola l’interruzione dello sciopero in caso di notizie rilevanti e che prevede espressamente il coinvolgimento del cdr nell’apertura di finestre informative. Tuttavia, inutile lanciare strali a chi si è approfittato di una categoria che non riesce più ad essere compatta. I conti andavano fatti prima.

Se lo sciopero non è stato rispettato dall’azienda (con alcune circostanze che potrebbero portare ad un ricorso al giudice del lavoro per comportamento anti-sindacale) e non ha dato i risultati attesi lo dobbiamo, al di là della buona volontà dei singoli, all’assenza sistematica del sindacato a tutela dei diritti sul luogo di lavoro e quindi alla sfiducia che circonda da almeno un decennio il gruppo dirigente dell’Usigrai.

La vicenda degli ammanchi di cassa mai spiegata fino in fondo, la piattaforma di lotta poco convincente e in ogni caso colpevolmente tardiva, una critica ormai diffusa verso il cosiddetto “giusto contratto” che giusto non è (su cui i colleghi degli Approfondimenti si sono visti costretti ad aprire una trattativa informale con l’azienda senza l’assistenza dell’Usigrai), lo scarso interesse verso il prodotto e la carenza dei mezzi di produzione, l’incapacità genetica ad essere sindacato a salvaguardia dei diritti di tutti e una certa quota di demagogia che affiora ogni volta che la (presunta) “politica amica” va all’opposizione, spingono tantissimi iscritti su una sorta di Aventino.

Che non vuol dire: mi faccio gli affari miei. Significa: partecipo quando è proprio necessario. Sono stati proprio questi giornalisti, stufi di liturgie sindacali che non portano da nessuna parte ma convinti della necessità di mandare un segnale all’esterno sullo stato di salute dell’informazione Rai, ad evitare che lo sciopero indetto dall’Usigrai fosse travolto da una valanga di mancate adesioni. Non si tratta né di forzature né di strumentalizzazioni ma di prendere atto della realtà che si respira a Saxa Rubra. Una realtà che richiede lo sforzo di tutti affinchè il sindacato torni ad essere attrattivo.

A Stampa Romana ci siamo riusciti, perché non possiamo riuscirci anche in Rai? Una forma strisciante di opposizione a questo modo di condurre il sindacato Rai, quantomeno nelle redazioni romane, c’è. Occorre dargli una forma e una prospettiva, cercando di riunire tutte le diverse anime di questa opposizione in vista dei prossimi appuntamenti congressuali perché nelle singole redazioni i colleghi si sentono soli e abbandonati.

Si tratta di mettersi in ascolto dei giornalisti che combattono ogni giorno con i tagli all’informazione, che fanno i conti con troupe a mezzo servizio, con i tecnici di radiofonia sempre più rari, con montatori improvvisati, con una tecnologia che non riesce a stare al passo coi tempi, colleghi costretti ad usare la propria automobile o la propria carta di credito per andare in trasferta, che entrano in redazione per le edizioni del primo mattino e tirano la carretta fino a sera, che trovano le notizie ma i loro capi non gliele fanno mettere in pagina perché quella notizia non è nel mainstream, colleghi che subiscono quotidiane manipolazioni dei pezzi e che vedono continuamente frustrate naturali ambizioni di carriera.

Un cahier de doleances certamente incompleto a cui occorre dare risposte, offrendo ai giornalisti della Rai un’alternativa che non spacchi il sindacato ma che riaccenda il dibattito interno dando vita ad un’opposizione concreta e combattiva in grado di imprimere un cambiamento.

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